1.12.15

Il silenzio dei funghi




Per combattere la vita allo sbaraglio che come un cane bagnato e infangato ti corre incontro, ascolto video zen e leggo le vite di maratoneti e mi convinco che devo dare un ordine diverso alla mia routine.

Così mi faccio uno schema, delle cose da fare ogni settimana e le cancello con l'evidenziatore verde speranza o giallo limoni rubati nei campi, che quello è il compito della domenica. Poi la domenica sera lo strappo e ne comincio uno nuovo sul cartone della scatola dei digestive.

Voglio macinare km a piedi o vasche in piscina, per arrivare dove non lo so, per ora procedo.
Qualche settimana di sveglia alle 4, bello il mondo silenzioso e immobile e le mattine che durano una giornata intera, e mo' che faccio?

Penso di aver tutto sotto controllo, il processo di trasformazione in asceta è pressoche terminato.
Ma come diceva un mio prof all'università, non va bene essere eccellenti, vuol dire che non hai più niente da imparare, e allora mi faccio lo sgambetto da sola e mi avveleno.

Perché lo so che i funghi contengono simil lattosio, lo so che il glutine è uno degli ultimi nemici che vogliono strapparmi il passaporto italiano, lo so, ma mi faccio la pasta coi funghi, così, a secco, senza sugo, senza olio, e mentre i funghi cuociono penso ammazza quanto puzzano e il cervello registra l'informazione e fa harakiri.

Il giorno dopo ho la febbre, un mattone nello stomaco, di quelli arancioni porosi che spaccano i vetri nei fumetti e affondano i cadaveri dei mafiosi nei laghi. Per precauzione non vado in piscina e mi rintano nel letto, a smaltire la mia sbornia nell'immobilità di cetaceo arenato.

È forse il corpo che dice ferma, va bene, fatti pure gli schemi che vuoi, ma ci hai pensato bene? Dov'è che razzoli e arranchi, dove vuoi arrivare?
Ignoro le voci, risorgo di lunedì, ma lui, il corpo, c'ha tutti i suoi bei meccanismi per frenarmi e far correre la mente, invece di farla girare a vanvera come un mulino impazzito.

Sono in classe quando all'improvviso mi si ingolfa la voce, i polmoni chiudono bottega e comincio a starnazzare. Il giorno dopo la voce non c'è più, andata, e io me ne sto zitta tutta la mattina solitaria, poi vado al bagno e faccio una prova davanti allo specchio, ma no, la voce non c'è.

Però non sto più male e allora vado a lezione lo stesso, fiduciosa che magicamente alle 4 tornerà, invece alle 4 arriva Arturo er Camionista 3 pacchetti di sigarette al giorno, che sono io in tuta in versione svociata.
Gli alunni mi dicono ma i vegani non si ammalano mai, io pure lo penso, questo silenzio forzato deve essere altro.

Che poi mica ci vuole tanto a capirlo, se non hai voce, saranno gli altri a dover parlare, tu puoi al massimo fare le facce, scrivere alla lavagna, assentire, pollice in su, conto fino a 10 e poi ...
E così ascolto e imparo la mia lezione, che parlo troppo e sempre, e quando i polmoni collassano sono infine gli altri a parlare, senza interruzioni, e forse senza paura o soggezione.

Ascolto infine i miei alunni chiacchieroni, senza FRIEND non si dice FREE END, e tu che ne pensi? E ora passiamo ad un altro argomento.
È bello, per due giorni, farsi guidare, oggi quest'attività continua perché hanno un sacco da dire e non posso fermarli e poi li ritrovo fuori di classe che continuano a parlare, del condividere, del perché in un Paese apparentemente tanto amichevole e amicone come la Spagna, spesso regna un individualismo così rassegnato da far paura.

In silenzio assimilo anche un complimento laddove mi aspettavo una critica o della negatività, vengo a lezione, teacher, perché mi piace come insegni, perché qua imparo e metto in pratica - lui che la lezione precedente si era stressato e aveva sbottato.

In silenzio nessuno viene a cercarmi per raccontarmi pettegolezzi o malignità, perché non posso dire niente di rimando e mi scrollo di dosso un bel po' di negatività. 

Lezione imparata, la prossima volta tengo la bocca chiusa e così non ci entrano neppure funghi assassini.

Lo strumento più potente di un professore è la voce. 
Lo strumento più potente di un professore è il silenzio.

15.10.15

Aforismi acquatici




A volte la vita è come una piscina di aquagym. 
Piena di signore di mezza età che ci vengono a chiacchierare, a spettegolare, a scappare dai mariti di prima mattina, 2 volte a settimana, dalle 8 alle 8.45, quando il sole non è ancora sorto.
Si corre cammina nell'acqua tutte in circolo anarchico, branco di ippopotame fantasia.

E se ci provi a correre, come dice l'istruttore, soprannominato Mr Culito, ti lanciano un'occhiataccia.

Non entravo in una piscina da secoli. 
Ho fatto nuoto per tanti anni e ho sempre odiato la cuffia e il costume intero. 
Però ho sempre amato l'acqua. 
Mi fa dimenticare il mondo fuori e solo essere, esistere.

Poi ho scoperto che ci sono i costumi interi a pantaloncino, coprichiappa insomma, che non ti si mettono in mezzo al sedere. E le cuffie pure sono evolute dagli anni '90, non creano più la sensazione di cervello sottovuoto.
La piscina è a 5 minuti a piedi da casa mia, questo quadrimestre non lavoro all'alba, insomma gli astri si sono allineati. Iscritta.

Poi a un certo punto Mr Culito dice dall'altro verso, e bisogna girarsi e si viene investiti dallo tsunami della corrente concentrica creata da sederi sballonzolanti e pigrizia mattutina.
L'acqua ti investe come un muro, le signore si fermano, perché loro mica vengono a aquagym a stancarsi, vengono a riposarsi da nipoti iperattivi, figli superoccupati, mariti brontoloni.

Io attraverso il muro d'acqua che pare una tempesta e cerco di correre al contrario, perché è la metafora di questo mese, andare controcorrente, buttarsi contro muri apparenti e vedere che c'è dall'altra parte. 
In piscina c'è Mr Culito sorridente, che finalmente alle sue lezioni ci sarà qualcuna - io -  che lo ascolterà. 

Al di là degli altri muri vedremo.





9.9.15

L'espatrio ai tempi che Berta filava (1)















Questi ultimi tempi parlo spesso con Serena, romana pure lei, trasferitasi dalla Caput Mundi all'Australia e da lì in Scozia. Lei è dove io vorrei essere e dove lei non vuole essere (perché se ne sarebbe rimasta felice fra i canguri) e così mi sento come l'onere e il dovere di farle amare la mia Scozia dell'anima e la bombardo di messaggi di cose da fare, da vedere, da comprare, da mangiare.

Lei dice piove e fa freddo e io, che sono appena tornata nel deserto spagnolo, sogno uomini in kilt, verdeverdeverde, superoffertone dei supermercati, tea time, grigio e poi quegli sprazzi di sole e quella luce scozzese che non l'ho mai vista altrove.

Parlando e raccontandole le mie peripezie in terra di Wallace, Serena un giorno mi fa: dovresti però scrivere queste storie di espatrio pre-internet.
Effettivamente all'epoca internet c'era, ma solo in biblioteca, i cellulari pesavano 'na quintalata ed era l'anno che Ryanair fece BOOM.

Il mio espatrio - come quello di tanti altri è quindi stato un'avventura un po' solitaria/lonely planet nella preparazione, piena di malintesi nello svolgimento, eppure con nostalgia ripenso a quelle prime sfide, a quelle prime scoperte.


Missione # 1 dell'espatriato non tecnologico

Altro che googlemaps! Toccava trovare un posto dove vendessero una mappa della città per poi potersi orientare nella ricerca di una casa. La prima sera, arrivata a Glasgow verso le 7 di sera, mi toccò prendere un taxi per arrivare in ostello. Ci ripenso ora, che a Glasgow ci ho vissuto e ci ritorno e ci ritorno, che ero a circa 3-4 minuti a piedi, ma chi lo sapeva?
Il giorno dopo, mentre con la mia compagna di avventura basca compravamo qualcosa nel tipico negozietto aperto 24h, il pakistano alla cassa vedendoci disperate, ci regalò un tuttocittàglaswegian, che qualcuno aveva dimenticato nel suo negozio. E cominciò l'avventura di cercare un appartamento.

Quel tuttocittà scozzese ce l'ho ancora, spiegazzato e con qualche strada sottolineata e tanti punti interrogativi. Perché gli appartamenti mica si cercavano su internet, noooo!
Bisognava comprarsi il giornale o guardare nelle vetrine dei newsagent's, in cui c'erano fogliettini scritti a mano dai proprietari o da gente che cercava coinquilini. La basca aveva insistito che attaccassimi noi cartelli ai pali della luce - cosa comune in Spagna -, ma in Scozia dopo mezzora già li avevano tolti.
E così noi scarpinavamo su e giù, segnando numeri e facendo telefonate dalle cabine.
Ma chi li capiva, 'sti scozzesi? (che poi erano tutti indiani, ma vabbè)

Episodio significativo - dopo un tira e molla di chiama tu, chiamo io, speriamo che non sia un altro indiano incomprensibile, infine telefonata:

- Buongiorno, mi chiamo Cecilia (pronunciato Sesilia). Chiamo per l'annuncio della casa, bla bla bla ... quando ci possiamo vedere bla bla bla ... siamo in questa zona qua ...
- Anche subito, fra 15 minuti, siete in zona ... l'indirizzo è SISAIL Street ...

Ecco, lui lo pronunciava così, e noi, ok, vabbè, ci vediamo lì, ora cerchiamo sul fedele tuttocittà.
Ha detto Sea Sile? Seaside? C - Sigh?
Cerca, cerca, sfoglia, sfoglia, 'sta via non la trovavamo.
Richiama tu, no, richiama tu.
E di nuovo, SISAIL, fammi lo spelling. Oddio, non ti capisco comunque.

Vi vengo a prendere, gli abbiamo fatto proprio pena, aspettatemi alla fermata taldeitali della metro.
Menomale che la metro di Glasgow è una linea sola e poche fermate, quella almeno l'avevamo capita.


Arriva Mr Bollywood, ci porta a vedere la casa.
Vabbè, la solita stamberga piena di muffa, con l'umidità che manco nella foresta amazzonica.
Però c'è il microonde - ci dice - vabbè, ci penseremo.

In realtà io non è che lo stessi molto ascoltando, perché pensavo solo a scoprire come cavolo si chiamasse 'sta benedetta via.  Scarpina scarpina fino alla fine della strada per beccare il cartello con il nome.

Indovinate un po' qual era?

...
...
...
...

Cecil Street.

Cioè, io mi ero presentata come Cecilia/Sesilia, glielo avevo mandato scritto in un sms, e questo il mio nome quindi come cavolo lo avrebbe pronunciato?

Mai neim is SISAILHEEA.

Che scritto così sembra pure un po' indiano.

5.9.15

Quando ero povera

Avevo quasi deciso di non scrivere nulla sulla Scozia, come se fosse stato un sogno - ahimé troppo breve - tutto mio. Di quelli che vuoi chiudere gli occhi e ricominciare dal punto in cui lo hai lasciato e invece no, quello dopo sei di nuovo in Spagna, di nuovo al lavoro e menomale che questa prima settimana di settembre è stata clemente e non fa caldo bolli-neurone.

Io non so più che fare con questa mia relazione clandestina con la Scozia. 
È una amore vecchio 13 anni ormai, nemmeno tanto furtivo e nemmeno tanto impossibile.
Sono io che tentenno, ho paura che tornandoci davvero forse non ci amere(m)mo più.

Invece 'sta Scozia bastarda mi frega tutte le volte. 
Pioverà tutti i giorni, dicevano le previsioni, ma proprio tutti tutti. 
Farà 10 gradi - e ora dove lo ficco un altro maglione nei 10kg Ryanair? 
Due impermeabili due mi sono portata.

Ecco, questa volta ci avevo pure sperato di odiarla un po'. 
Hanno rifatto l'aeroporto di Prestwick, lo hanno tirato a lucido. Hanno levato la moquette che stava là da chissà quanti anni. Prima quell'aeroporto aveva un odore. Il primo odore di Scozia per me, della prima volta che c'ero atterrata e non sapevo ancora che l'avrei amata. Di umidità, chiuso, vernice, adrenalina da viaggio, un po' di polvere. Che detto così fa schifo, ma per me era il mio Welcome Home a naso. Questa volta non c'era, brutto segno.

Poi pure Glasgow l'avevano rifatta (quasi) intera  per i Commonwealth Games, eliminando tanti edifici vecchi e decadenti, di quelli con il muschietto e il nerofumo che mi piacevano tanto. Tanti, ma non tutti. 

Però poi camminare per le strade, come una guida della mia vita che fu,  narrare ad alta voce mi ricorda quell'amore, quel senso di casa del mio cuore.

Quando ero povera
(leitmotiv del viaggio, perché Margherita, che mi accompagnava, ha l'età che avevo io quando vivevo a Glasgow, e allora ogni frase cominciava così, ricordando quella gioventù squattrinata e arrabattata)














Quando ero povera vivevamo in 5 in quel rudere di casa della foto in alto a sinistra. Era un appartamento per due, con il microbagno che toccava mettere un piede nella vasca per sedersi sulla tazza. E i mobili venivano raccattati un po' per strada e le mie lenzuola e coperte erano di un charity. Come la coperta di Linus, io ricordo una coperta giallo canarino, calda calda, che avevo comprato un giorno per coprire il divano sfondato marrone scuro. Mi abbracciava e mi riscaldava insieme alle infinite tazze di tè e io leggevo libri su libri, presi in biblioteca - perché mica avevamo internet a casa e dovevo andare in biblio a usarlo - , dopo una passeggiatina ai Botanic Gardens, a riscaldarmi nelle serre.














Quando ero povera non potevo permettermi tante gite, allora andavo nei posti economici (tipo il bellissimo e spesso vuoto Dumbarton Castle, il castello dalle mille scale), o gratis, per esempio a Loch Lomond, che gli stranieri lo snobbano e se ne vanno a Loch Ness. Invece io prendevo un bus urbano che ci metteva 1 ora e 45 ad arrivare, coi vetri appannati e la puzza di chips della gente che ci mangiava dentro. Se andava bene mi sedevo al secondo piano e guardavo il verde e gli occhi mi dicevano: non è vero che siamo ciecati, è che non ci va di stare davanti al computer.
Poi arrivavo alla spianata dell'ultima foto e gli occhi, a dire il vero un po' ciecati, mi facevano credere da lontano che un orso stesse correndo verso di me. E io che ero più ginnica all'epoca fuggivo scivolando sul prato, per poi essere raggiunta da un labrador nero.














Quando ero povera andavo sulle isolette a caso e mi perdevo.
Great Cumbrae, da girare tutta tutta a piedi, verde verde verde, nessuno nessuno nessuno. Sfidare il fiatone e la poca ginnicità e salire fin su in cima, da dove si vede tutto perché, miracolo, c'è il sole e sto addirittura in maglietta. Me la ricordavo invasa da fiori gialli in aprile, l'odore di vaniglia che rende iperattivi. La ritrovo silenziosa, bella da ogni angolo, a pensare di ritirarmi a fare l'eremita e prendere il ferry con le vecchiette per andare a fare la spesa a Largs.














Quando ero povera e andavo a piedi a scuola, facendomi tipo 20km al giorno, a volte me ne andavo a passeggiare al cimitero non lontano, e mi sentivo un po' Keats e la vita era poesia. Essendo vicino alla fabbrica della birra Tennents, mi intossicavo coi fumi dell'alcohol e tornavo a casa rintronata e felice.














A Glasgow c'è il  Museo delle Religioni, gratis come la maggior parte dei musei, e c'è il giardino zen, dove ci becca l'unico acquazzone del viaggio, proprio mentre esprimiamo i nostri desideri e li annodiamo con un laccio colorato all'albero della speranza. Forse era già nell'aria che in un futuro vicino vicino si sarebbero avvicinati temporali? Non so.

La Scozia questa volta mi parla per scalinate e arcobaleni , scalate e labirinti e alla fine mi sento davvero un po' persa.


20.8.15

Quando la letturatura e la vita si incontrano

Ci sono libri che ti rimangono impressi, perché la storia ti coinvolge, perché ti rispecchi nei personaggi, perché creano un'atmosfera che è difficile scrollarsi di dosso.
O semplicemente perché li leggi in un periodo o una giornata particolare, su un treno preso al volo, in quell'aeroporto durante una lunghissima attesa, mentre aspetti la metro e poi a casa, senza prendere fiato.
Io La Regenta l'ho letto tanti anni fa, in fila, poi di nuovo a casa, poi di nuovo in fila. Ero ancora in Italia, stavo preparando gli ultimi esami per finire l'università, spagnolo era uno di quelli e quindi questo non era un libro da sfogliare per piacere. Era un obbligo, come andare a votare quel giorno.
Quella era la fila, quella l'attesa. Gente rabbiosa contro un'Italia, che già quel bel po' di anni fa, andava allo scatafascio. La Regenta era con me in piedi fuori dal seggio, con una fila lunga così. Mi pareva che la gente fosse davvero arrabbiata, volesse davvero cambiare le cose, e quel fremito interiore faceva a cazzotti con il libro, lento, desolante, angosciante.
Matrimonio di convenienza, niente figli, tante frustrazioni, solitudine e noia per Ana, la protagonista.
In realtà poi la vera anima del romanzo è Vetusta, la città che fa da sfondo alla silenziosa disperazione della Regenta, con le sue dame ipocrite, l'aristocrazia decadente, il clero corrotto, le pressioni sociali ed ambientali che finiscono per avere la meglio.
Ciò che non ricordavo era che l'autore, Clarìn, dietro il nome Vetusta aveva voluto nascondere - ma neanche troppo - una città spagnola reale, Oviedo. Dove sono finita per caso, guarda la cartina, guarda i pullman e vedi cos'è raggiungibile da Leon, girata ormai in lungo e in largo. C'è Oviedo, nelle Asturie, e per arrivarci si va su per i monti, si passa per tutti i paesini e viene quasi il mal d'auto.
Ci arriviamo e ci sono le cornamuse che suonano e i gruppi folclorici che ballano, e fra quello e il verde mi emoziono, perché mi sento un po' in Scozia. Corri corri, dico, abbiamo tempo solo fino alle 6 di sera, ci sarà tantissimo da vedere.


Poi andiamo all'ufficio del turismo e la signora che ci lavora si sente forse troppo Regenta, frustrata e annoiata, qua non c'è molto da vedere, alcune statue, state qui tutto il giorno? ci manca che faccia un sospirone e ci dica che gli facciamo pena. Ci manda a vedere la statua di Mafalda, che poveraccia non so cosa ci azzecchi con questa città, poi partiamo in esplorazione per il centro.



Giriamo e giriamo ed effettivamente ci sono tante statue, pure belle, ma forse tutte un po' angosciate.
Scusatemi cittadini di Oviedo ed amanti di questa città, io non avevo neppure pregiudizi perché finché la Regenta non l'ho incontrata, davanti alla Cattedrale, mica me lo ricordavo che il libro era ambientato qua.

















Forse ero io che avevo la luna storta, forse a quel punto tutti i ricordi e la pesantezza del romanzo hanno pervaso la mia anima, che ne so.
So solo che, se uno non beve il sidro, che si può allegramente tracannare a qualsiasi ora del giorno,  Oviedo è proprio il posto giusto per vivere quell'atmosfera di disperazione e lenta agonia che avevo respirato per 1300 pagine. Mi è capitato raramente di voler fuggire da un posto, addirittura Coventry disprezzata da tutti mi è piaciuta.














Ecco, allora mi chiedo, vi è mai successo?
Andare in una città e viverla come fosse un romanzo che ne parla?

11.8.15

Genio e demenza


Viaggiamo senza macchina e allora siamo sempre i primi ovunque, costretti a levatacce per acchiappare al volo il primo pullman della mattinata e conquistare km e km di Castilla e León.

Dal finestrino guardo i pellegrini coi loro zainoni e bastoni, di qui si passa per arrivare a Santiago de Compostela e mi sorprendo a vedere tutte queste tenaci lumachine, col peso della loro casa di viaggio sulle spalle. Sono inni al minimalismo, al silenzio, alla praticità. Mi chiedo quale sia la loro vita lontano dal Camino, non riesco a immaginarmeli davanti a un computer o sfatti in discoteca.



Noi pure maciniamo km a piedi, ma per visitare Astorga, ci diamo 3 ore e sono poche, chi se lo immaginava che il Palazzo Episcopale ci avrebbe intrappolati?


C'era da aspettarselo in realtà, si tratta di Gaudì, un cervello privilegiato. 
Entri nel palazzo ed è una lezione di umiltà, pensi a quanto sei bravo in questo e quello, a tratti geniale, poi giri per le sale e il cervello fa la riverenza, mentre gli occhi vagano come palline di flipper, impazzite su e giù. Quella finestra, quella vetrata, quel capitello, quell'arco. Tanta luce.

Sarebbe bello che un edificio così fosse una biblioteca silenziosa e profumata di libri.
Io ci verrei a studiare d'inverno, con la neve, e sarebbero proibiti cellulari e computer.

Per ora è un monumento che pochi visitano e chissà, forse è meglio così, passeggiare per le sale e godersele, vuote. Ecco, però se voi passate per Astorga non ve lo perdete.




Nel biglietto doppio è inclusa pure la visita alla Cattedrale e museo.
E si passa dalla meraviglia incantata alle risate guarda là, guarda qua - tutta colpa della pagina Se i quadri potessero parlare - quando ci ritroviamo di fronte a opere così. Non vogliatemene amanti dell'arte, questa visita culturale ha preso una piega comica.


Bambinello- Sansone con parruccha lunga, effetto Samara del film 'The Ring', protettore dei pelati, mio buon Gesù, pensaci tu e addio minoxidil.


1) Mi hanno messo qualche droga nel bicchiere ...
2) Volaaaa, mio mini pecoro, volaaaa mio minipecoro dai ...
3) Esci coi tuoi amici stasera? Ti aspetto sveglia!


Specialità della casa: tette e occhi su un vassoio d'argento
(E scoprire che in Sicilia c'è un dolce tetta a ricordare il martirio di Sant'Agata. Quella degli occhi chi era invece? Santa Lucia? Ci sono dolci a forma di occhio in qualche parte d'Italia/ del mondo?


1) testa di cazspero 100%
2) te l'ho detto Tommà, il tuo telefonino nun ce l'ho io, cerca cerca, smucina, intanto mica lo trovi ...


1) lo schiaffo del soldato!
2) marionette volanti
3) ma insomma, 'sti capelli mi stanno meglio lisci o riccetti?

E con questa carrellata di demenze vi lascio e continuo il mio viaggio.
Alla prossima tappa.

4.8.15

I colori di Madrid

L'hotel di Madrid l'ho scelto io a casaccio, dopo tanto couchsurfing mi pare pure strano non sapere chi sarà che mi ospita.

Non so neppure in che quartiere è, a Madrid ci sono stata 4 volte, ma non ci conosciamo bene, finora questa capitale non mi ha convinta.

1) 1998: di passaggio verso il nord, dove andavo come volontaria, sosta di cui ricordo solo la stazione e un caldo infernale nelle Dr Martens perenni.
2) 1999, reduce da 4 mesi di erasmus, i madrileni parlano troppo lenti rispetto ai murciani e abituata alle temperature del sud a dicembre io gelo.
3) 2008, gay pride. Ma mica lo sapevamo. Ci arrivo per fare delle robe burocratiche, ci ritroviamo a Chueca imbandierata d'amore.
4) 2009, altra burocrazia, questa volta con mamma e papà. 15 volte a fare il giro col bus turistico rosso e cena al Museo del Jamón (ristorante coi prosciutti appesi) a rischio di svenimento.

Poi questa volta Lavapiés. Che ho già sentito parlare di questo quartiere in TV - quando ancora ce l'avevo - , ma che dicevano, boh?

Comincio a ricordare quando il proprietario marocchino della minipensione che ci accoglie ci segna sulla cartina questo e quello.
Lavapiés, il quartiere melting-pot per eccellenza.

Ma non il finto-hippy-chic che odio.
No, questa è multiculturalità alle stelle, i negozietti cinesi, la strada dei ristoranti indiani coi camerieri all'assalto, le mille frutterie pakistane, i tatuatoni, il ristorante vegano anarchico-queer, i cani, la gente che beve birra appoggiata ai secchi, tanti giardinetti con TANTI bambini, quelli che mi offrono hashish perché porto i miei pantaloni giullareschi e il marsupio e il miglior modo di pettinarsi è col vento.
Per strada di notte c'è rumore e io, figlia dei mercati generali di Roma Ostiense, mi addormento cullata dagli strilli degli ubriachi.

Lavapiés è il Rastro, cugino di porta portese romana, è giovincelli che alle 10 di mattina di domenica si stanno facendo la prima birra, perché ancora non sono andati a letto dalla sera prima.
È bar coi tavoli all'aperto stracolmi, disordine un po' zozzone, stradine piccole in salita verso il centro, che è vicino ma come se fosse un altro mondo. 

Un mondo che non mi piace, perché è pieno di turisti,  e ZaraH&MStarbucks e io rifuggo l'omologazione e le catene, me ne torno a Lavapiés, che pure che non bevo, non fumo e non dico parolacce quello che cerco è calore ... e colore.






31.7.15

Dialogo della Natura e di una Murcitalianscozzese

Ritorniamo come ogni anno nel deserto.
Landa desolata, artificiale, ora abbandonata dall'uomo.

Il deserto si adatta all'umore, che quest'anno è pigro e sonnolento.
Siamo vittime dell'estate, che ci schiaffeggia giornalmente coi suoi 45º.

Profughe in un'oasi abbandonata, entriamo e usciamo dall'acqua, cacciamo (via) rane, frastornate dalle cicale che non smettono di sventolarsi con le ali, che pure per loro quest'anno a Murcia è troppo caldo.

  Getting lost

 Death Valley

Eppure i laghi, creati per affondare palline da golf, ora sono pieni di papere e di cigueñuelas, cicognette, anche se il loro nome in italiano è cavalieri d'Italia e fa un po' ridere, che sono? Amiche di Berlusca fuggiasche? 

Eppure dall'asfalto spuntano fiori e piante, ogni anno più anarchiche, ogni anno più libere.
Di giardinieri non ce ne sono più, nessuno si cura che i marciapiedi si crepino, che i serpenti entrino nelle case dei pochi che rimangono a vivere da queste parti.
I gatti vanno a caccia, così come le volpi, perché il canyon è diventato territorio comanche.

 
Non mi ricordo da che anno è che torno nel deserto, all'inizio era ancora un campo da golf, ora mi fa pensare a Leopardi, al Dialogo della Natura e di un Islandese, che mi è rimasto in mente per ventanni e ora la memoria me lo ripropone e lo cerco per rileggermelo.

Natura. Tu mostri non aver posto mente che la vita di quest'universo è un perpetuo circuito di produzione e distruzione, collegate ambedue tra sé di maniera, che ciascheduna serve continuamente all'altra, ed alla conservazione del mondo; il quale sempre che cessasse o l'una o l'altra di loro, verrebbe parimente in dissoluzione. Per tanto risulterebbe in suo danno se fosse in lui cosa alcuna libera da patimento.

Islandese. Cotesto medesimo odo ragionare a tutti i filosofi. Ma poiché quel che è distrutto, patisce; e quel che distrugge, non gode, e a poco andare è distrutto medesimamente; dimmi quello che nessun filosofo mi sa dire: a chi piace o a chi giova cotesta vita infelicissima dell'universo, conservata con danno e con morte di tutte le cose che lo compongono? Mentre stavano in questi e simili ragionamenti è fama che sopraggiungessero due leoni, così rifiniti e maceri dall'inedia, che appena ebbero forza di mangiarsi quell'Islandese; come fecero; e presone un poco di ristoro, si tennero in vita per quel giorno. Ma sono alcuni che negano questo caso, e narrano che un fierissimo vento, levatosi mentre che l'Islandese parlava, lo stese a terra, e sopra gli edificò un superbissimo mausoleo di sabbia: sotto il quale colui diseccato perfettamente, e divenuto una bella mummia, fu poi ritrovato da certi viaggiatori, e collocato nel museo di non so quale città di Europa.

Io non sono pessimista come il nostro Gobbo nazionale, il ciclo della vita mi piace, soprattutto quando la natura vince e si riprende ciò che è suo. 
Di leoni poi da queste parti non ce ne sono, al massimo conigli,  che zompettano qua e là fra i cactus e ci guardano, forestiere in terra di nessuno.

Il deserto è ritorno alle origini, piedi scalzi, capelli arbusto, amiche ritrovate, necessità primordiali, dormire, mangiare, starsene in silenzio, al sole o in acqua. 
Il deserto è cervello che sogna pioggia altrove e che in sovraccarico fa puff e si spegne.

Batteria scarica.


(Per fortuna che è solare)

23.7.15

Generazione di whatsappomani





Stiamo facendo in classe le simulazioni di esame.

In coppia hanno 4 foto di ristoranti e devono inscenare il teatrino di quale sceglierebbero se insieme dovessero andare a festeggiarci il compleanno di uno dei due, una cena di classe, la fine degli esami.
Un'alunna, oggi particolarmente agitata, mi dice che per lei è un'attività troppo difficile.
Ma come? A me sembra una delle più facili, considerando che abbiamo appena scelto il ristorante per il pranzo di classe.
Certo, dice lei, ma lo hanno discusso fra loro, fra alunni, su WHATSAPP!
Si sono messi d'accordo lì, parlando delle due proposte che io avevo fatto.
E io che pensavo lo avessero fatto durante la mezzora di pausa che facciamo a metà mattina.
No, no, che siamo matti?
Lei dice che di solito le decisioni di gruppo non le prende mai A VOCE.
Che per decidere dove cenare, che film vedere, che regalo fare tutto si svolge via whatsapp.

Che può essere comodo, pratico, gratis, ma arrivare al punto di dire che non si è più capaci di interagire per prendere una decisione mi sconcerta non poco.

Poi fra l'altro lei al pranzo non ci è neppure venuta.
Forse sarà proprio un problema di interagire in generale allora.
Eppure non mi pare una tipa introversa o timida.

Boh.

Comunque da prof. di alunni dai 18 a 60 anni mi ritrovo in una situazione in cui:

- generalmente i più vecchietti odiano i listening e lo speaking, vogliono grammatica a tutto spiano. Poi diventano fan della fonetica, questa sconosciuta. E si fanno passare quintalate di pdf e di materiali come manna dal cielo. (più che altro perché i più non sanno fare ricerche su internet per trovare da soli tutte queste cose)

- i 30-40enni, che a scuola hanno studiato grammatica, mi seguono abbastanza, siamo della stessa generazione, in adattamento al mondo tecnologico. Capiscono se dico avverbio o sostantivo, gli va bene un po' tutto, anche se sono reduci di una scuola dove i loro prof erano quelli della categoria precedente. Quindi all'inizio hanno la fase oddiomachièstamatta, aiuto, attacco d'ansia. Poi si abituano al ritmo.

- i 20enni mi fanno vedere i sorci verdi. Non sanno scrivere, funzionano solo per frasi corte e opinioni risicate. Non tutti, certo, ho anche alunni brillanti, ma quando correggo i compiti noto questa forma mentis fatta di foto e di like, di twitter e di whatsapp.
Difficile mantenere la loro attenzione, non ce la fanno a sostenere i reading più lunghi ... ma io sono un osso duro.
Sono abbastanza addicted ai social network - facebook soprattutto - per riuscire a capirli, anche se mi preoccupa parecchio che questa sia la piega che la società e i cervelli stanno prendendo.

Domani sono gli esami orali, ce la faranno i nostri giovani eroi a PARLARE per ben 7 minuti, interagire, rispettare i turni di parola e raggiungere un accordo?
Chi bloggherà, saprà!

18.7.15

Capriole

Quasi un mese senza scrivere.
È stato un luglio particolare, ore lavorative (e stipendio) ridotte, all'università a insegnare al massimo fino alle 2.30.
Ho una classe di gente tranquilla, normali, carini. Nessuno psicolabile.
Fanno i compiti, partecipano, tutti molto interessati, le 3 ore passano veloci, veloci, tanto che a volte mi sbaglio e mi devo mettere la sveglia per ricordarmi quando la lezione finisce.

I primi giorni però sono stata disorientata. Pomeriggi liberi? E ora che faccio?
Ero partita con un sacco di buoni propositi: allenamento, dieta crudista, studiare svedese.


È andata bene per qualche giorno, a mangiare i pomodori del balcone, fare 9km a piedi di ritorno dal cinema, comprarmi carciofi per merenda invece che bombe caloriche.

Ma a 40-45º il cervello va in tilt.
E i buoni propositi fanno una piroetta a 180º trasformandosi in: fare la siesta, mangiare gelati (vegani) e un sacco di altra roba, andare al cinema col tram a vedere qualsiasi cosa per approfittare dell'aria condizionata in sala (che io a casa non ce l'ho).


Le mie interiora soffrono per l'attacco di grassi, glutine e zuccheri.
Ogni giorno mi riprometto: da domani solo cocomero!
Ma poi c'è sempre qualcuno da salutare perché non lo vedevi da tanto tempo, un giretto in centro, qualche tapa, fa caldo, che ti vuoi far mancare un gelato?

Da brave suicide io e Marghe certi pomeriggi usciamo alle 5, sotto il sole a picco, sperando di dimagrire per evaporazione. Arriviamo in centro con pause cibo varie e, sarà forse un miraggio, ci ritroviamo nel bel mezzo di uno spettacolo di balli folclorici.
D'oriente dice il cartello.
Nizza, dice il tamburo di uno dei suonatori.
Vabbè, però ha ragione mamma, a Murcia esci per strada e ti trovi sempre una sfilata, una processione, qualcosa di non annunciato che ti sorprende.
Durante l'anno chissà quante me ne perdo, di queste manifestazioni estemporanee, con cinesine ginniche che si arrotolano le gambe intorno al collo, draghi con le mani di Mickey Mouse, coreografie di asiatici-francesi che sudano le 7 camicie.


Ieri era l'ultimo venerdì di lezione, la prossima settimana sono già gli esami.
In classe stiavamo parlando di sogni, di chi avrebbero voluto essere per una settimana se avessero potuto scegliere: Obama, un compositore che non conosco, Peter Griffin, un'aquila ...
Manco a farlo apposta l'ultimo a rispondere dice Sean Connery. 

Gli dico: così potresti metterti un kilt, vero? - e rido sotto i baffi.
Ho la lezione sulla Scozia preparata per l'ora successiva. 
Il kilt è proprio lì, in una scatola davanti a me. 
Certo - dice lui.
A volte ciò che si desidera diventa realtà in 4 e 4 8.
Tiro fuori baracca e burattini e fra gli applausi della classe e con sottofondo musicale di cornamuse, trasformo l'alunno in scozzese, tanto che lui vorrebbe addirittura togliersi i pantaloni.


Da lì risate a go-go e foto ricordo con minacce di accoltellamento se non fanno i compiti.

20.6.15

Effetti collaterali

Farsi correggere quando parlo dal proprio nipotino di 5 anni. 
Andiamo di là, a giocà - gli dico.
Non si dice giocà! - mi risponde serio.
Per un momento penso che ho usato una parola in spagnolo, poi mi rendo conto che sta correggendo il mio romanaccio. Che io quando vivevo a Roma non parlavo. Me so 'mbruttita a vive 'n campagna!


Stare tranquilla e beata a spalmarsi la crema idratante sul sedere con la finestra aperta, non ricordando che qua le finestre dei vicini sono a pochi metri di distanza e fare un involontario spettacolino sexy per il dirimpettaio divertito.

Diatribe con madre tecnologica
- Io: Hai visto che bella la foto di questi maialini?
- Mater: Secondo me sono finti!
- Io: ???
- Mater: Mica si muovono!
- Io: Mamma, non è un video!
- Mater: Però non si muovono.

Esco con 3 amichette delle elementari.
A un certo punto fra un pettegolezzo e l'altro su cessicornutidivorziatitrombamici, ho un momento di scompenso:
- Ah, ma quindi ti offrono anche il G14Hv con PS14Gt?
- Sì, ma la versione upgrade X27, che è un gran vantaggio in caso di R44.
- Ah, da noi di solito offriamo l'opzione aggiuntiva K24 ...
- Sì, ma non fa al caso mio, perché essendo io in Beta2 al secondo mese ci sarebbe un rischio di Z14.
E così per altri 2-3 minuti. Parlano di telefonini? Di test durante la gravidanza?
No, di assicurazioni. Oddio, c'abbiamo quasi quarantanni, ma io anche no.

Di pomeriggio mamma mi chiama per il tè. Mentre loro si mangiano le ciambelline a me viene voglia di pomodori sott'olio su pane nero tedesco e birra slovena. Stomaco globalizzato.


Insomma, 'sto ritorno in patria va così.

13.6.15

La scuola è finita ... andiamo in pace!



Oggi fa calduccio  e mi è tornato in mente quando, 15 anni fa, mia cugina e suo marito erano venuti in viaggio di nozze a casa mia, qua nel deserto. Murcia gli piaceva tanto, nonostante i 40º-45º, e Alessandro amava particolarmente i granizados, che non sono proprio granite ma quasi. Così mentre noi dormivamo la siesta lui usciva sotto il sole cocente per andare a prendersi un granizado.

Loro non parlavano spagnolo e proprio qui nella regione in cui tutte le S scompaiono (i murciani fanno economia di consonanti) Ale e il gelataio non si capivano:

Ale appiccicava le S a ruota libera alla fine delle parole che aveva imparato:

- QUIEROS UNOS GRANIZADOS.

¿Cuántos? - gli rispondeva il gelataio. (Unos in spagnolo infatti significa 'alcuni, dei')

E lui un po' stizzito: UNOS, UNOS. (facendo segno con il dito).

Alla fine tornava sempre a casa con tres granizados, perché con il numero 3 si va sul sicuro, a Murcia lo pronunciano come in italiano.

Ora sono 15 anni che io sono qui e magari gli errori li faccio al contrario.
Parlo itañol e mi confondo, diciamo che in tante cose mi sto spagnolizzando.
Come molti saprete sono l'artista (con involuzione a livello disegni secondo asilo) dietro i fantastici Cuidadín e spesso rivivo le mie figuracce ascoltando di nascosto italiani in giro, che intanto mica lo capiscono che sono del Bel Paese.


DE PUTA MADRE

Questa espressione si impara subito, perché è sempre in bocca di tutti.
De puta madre, che figata, da paura, fantastico.
Ricordo il momento preciso in cui l'ho sentita per la prima volta, pronunciata dal vocione di un murciano conosciuto a un campo di volontariato. Io parlavo un po' di spagnolo e chiacchieravamo di quell'estate, di cosa avevamo fatto, di cosa avremmo fatto. Mi ricordo che gli avevo detto che dopo il campo di lavoro sarei tornata in Italia, per passare un po' di tempo con i miei, eravamo passati a parlare del cibo italiano che cucinava mia mamma e zacchette, DE PUTA MADRE.
Non gli sono partita di capoccia per miracolo.
Io odio le parolacce, soprattuto quelle che insultano la mia famiglia. Ma ha rischiato di brutto.

Occhio che non è lo stesso dire de puta madre che tu puta madre, questa seconda espressione sì che è un bell'insulto.



Poi quando facevo le ore piccole per il centro di Murcia quando ero una erasmus festaiola, mi capitava, tornando a casa all'alba dei morti viventi, di essere fermata sempre dallo stesso tipo, fatto e sfatto, che mi chiedeva sempre di 'dargli fuoco'. 
E io pensavo: poveretto, è davvero disperato, non riesce a uscire da questo tunnel di perdizione in cui si è ficcato. Anche perché io non fumo e non potevo immaginare che qualcuno mi prendesse per fumatrice e mi chiedesse da accendere.
Poi quando ho risentito 'sta frase in una discoteca ho pensato: oddio, ma 'sto dame fuego è qualcosa di sessuale, tipo 'cmon baby light my fire. Insomma suicidio o zozzerie?



La storia del seguro e seguramente mi fa ancora impazzire. Ma perché cavolo l'avverbio che deriva dall'aggettivo significa qualcosa di completamente diverso??????? Perché? Perché? Ci ho messo circa 10 anni a non confondermi più. Anche se quando ascolto seguramente c'ho ancora quel momento di scarto prima di realizzare che col cavolo che è sicuramente, anzi nella maggior parte dei casi, quando uno ti dice seguramente ti sta dicendo di no in modo gentile.

Cioè, mettetevi l'anima in pace:  seguramente ti chiamo, seguramente passo, seguramente ci vediamo ... vi stanno dando il due di picche, fatevene una ragione.
Per andare sul sicuro la parolina magica è seguro, sennò ciccia.



---- MAMMA SMETTI DI LEGGERE QUI ----

Poi ovviamente ci sono una lunghissimissima sfilza di errori pornografici, ma proprio tanti tanti.
Che poi cazo e cazzo si pronunciano pure diversamente, ma ti fa comunque ridere quando vai a comprarti la prima e unica pentola per la tua casetta erasmus e vedi 'cazos' da tutte le parti.

Ti fa pure ridere che gli attributi intimi maschili e femminili in Spagna vengano chiamati con un nome del genere opposto, POLLA per l'uccellino, COÑO per la patata. Poi impari talmente tanti altri nomi per definirle che non ci fai più caso. Fino a quando sei in giro con un'altra straniera che per cena chiede un 'bocadillo de polla' (panino di cazzo, invece che di pollo) e allora ringrazi il cielo di essere veggie.

---- MAMMA PUOI RICOMINCIARE A LEGGERE QUI, o forse no ... ----


E nella vita di una prof. di italiano non sono solo gli alunni a confondere Buongiorno con Bochorno (afa), guarda il libro con riponi/ il libro (guardar in spagnolo =  mettere via), e a intorcinarsi il cervello pensando che salir significa uscire, subir significa salire e subire è sufrir ... no, no, pure tu farai le tue belle figuracce in diretta, e ovviamente saranno sempre delle pornofiguracce.

Perché se tu dici TOCCA A TE in classe, il tuo studente principiante capirà TÓCATE, cioè toccati, onanismo didattico insomma. Che poi in spagnolo si dice TE TOCA, ma chi è che mi tocca???

Un sacco di verbi creano casini, tipo vado al mare Y ME BAÑO ... e certo che ti bagni, ovvio.
Ma bañarse non è bagnarsi, bensì fare il bagno. Però il verbo fare dopo 15 anni qua si finisce per perderlo e allora cominci a dire DOCCIARSI, COLAZIONARE, MERENDARE e vabbè, che ci si può fare?

C'era il padrone del ristorante dove lavoravo, che parlava itañol pure lui e per dire a uno dei nuovi camerieri spagnoli di portare le tovaglie in lavanderia gli diceva TOALLAS, che sono gli asciugamani e questo rovistava e rovistava in magazzino, alla ricerca dei fantomatici asciugamani.

E poi tutti gli altri casini culinari, olio = aceite, aceto = vinagre,  e uno legge il menù e dice: ma che schifo, pasta aceto, aglio e peperoncino ... e poi vogliamo un piatto di gambas, oddio sono cannibali! Ma noooo, le gambas non sono gambe, sono gamberi. E la pasta al burro (= asino) deve aver fatto inorridire frotte di ispanici (che poi un asino o una mucca, boh, che differenza fa!).

Insomma, oggi ripenso a tutti questi malintesi e a tutti quelli che vivono i miei studenti, però sono felice, perché per la prima volta nella storia ho promosso tutti! Tutti!!!! Certo ci sono stati una quindicina di studenti che non si sono presentati all'esame, ma meglio così, mi hanno tolto un peso, quello di bocciarli, hanno capito forse cosa mi aspettavo da loro e che non si erano impegnati abbastanza.

Ho ripensato pure al mio erasmus perché ieri, negli ultimi ultimissimi esami ce ne erano 3 di alunne il cui destino dipendeva dal mio voto. Tre future erasmus in Svezia, che piangevano prima e hanno pianto dopo l'esame. Ho ricordato me stessa, trepidante 16 anni fa, in attesa delle selezioni e di sapere se sarei partita. 

E ho pensato che sarebbe stato bello fare un video, del momento preciso in cui la vita di qualcuno cambia e non si può tornare indietro.






10.6.15

Ho perso la vocazione?

Culo sedere quadrato fisso sulla sedia, testa altrove.

È la fine del quadrimestre e, come al solito, siamo sommersi di cose da fare.
Mi è toccato pure mettermi i pantaloni funerale (nel senso che non me li metterei altro che per andare a qualcosa di tremendamente importante) perché avevamo un'ispezione durante gli esami del venerdì pomeriggio (quindi peggio di un funerale).

Così mi sono resa conto che non sono proprio fatta per questi salamelecchi di vestirsi bene e dare dell' Ustedes (Loro) agli alunni. Non ce la faccio proprio. Non so come in un passato lontano 20anni io avessi potuto pensare di lavorare in un'ambasciata, dove oltre ai pantaloni effetto salsiccia sicuramente avrei dovuto portare scarpe non da ginnastica. NO, NO!

Fortuna che i nostri esami dei corsi e le nostre prove di accesso agli intensivi estivi sono un po' più rilassate. Vengo in ciavatte e pantaloni hippy, che mio padre mi farebbe subito licenziare.

L'altro giorno un mio alunno mi ha fatto un bellissimo coming out nello scritto dell'esame, raccontandomi di suo marito (immaginario) e poi mandandomi una mail per dirmi cosa ha imparato da me come prof e da me come Cecilia. Lacrimuccia.

Vari altri alunni mi hanno scritto per dirmi quanto avevano imparato, come si erano divertiti, e insomma belle cose, proprio l'anno che pensavo che la mia vocazione all'insegnamento fosse scomparsa del tutto. Si vede che c'è ancora, ma è talmente inglobata in me che non la vedo.

Però ecco, ad allietare questa faticosissima fine quadrimestre poi ci sono i futuri alunni che pensano di non rivedermi mai più, perché non collegano  il fatto che io che gli faccio la prova di accesso poi potrei essere la loro futura prof.

Eccotelo qui dunque, uomo tatuato, baricentro basso, un ammazza dinosauri come amo definire il genere.
All'esame orale nervosissimo, livello terra terra, mi chiede di rifarlo più tardi.
Vabbè, so' pochi, tranquillizzati e ripassa.

Me lo ritrovo fuori dalla porta, infine pronto ad affrontarmi.

Prima domanda: che ti piace fare nel tempo libero?

- scrivere romanzi d'amore.

- romanzi d'amore? (dico io un po' interdetta, spiazzata, visto il suo aspetto non me lo aspettavo, mi valga la ridondanza)



Il tipo mi scruta per qualche secondo, per vedere se sono pronta alla prossima rivelazione:

No, vabbè, d'amore no.
Di sesso.
Erotici.
Sensuali.
Insomma HOT.
(ma pronunciato con quella gutturale aspirata più simile a una 'jota' che fanno gli spagnoli).

 Pensava di guadagnare punti?
Se lo sarà inventato perché quando il mio collega mi ha chiamata Cecilia, pronunciandolo in italiano, questo ammazzadinosauri ha capito Cicciolina?

Non lo so, fatto sta che è in un A2.1, io insegno normalmente dal B2.3 in su.
Gli mancano circa 8 livelli per raggiungermi.
Se fa un paio di corsi all'anno e li passa se ne riparla fra 4 anni.

Per quell'epoca chissà, forse avrò davvero abbandonato l'insegnamento e mi sarò data al Cicciolinamento.


(Gli altri Cuidadín li trovate qui)



Giro di ricognizione

Succede sempre che i posti più vicino a casa si ignorano un po', perché prima o poi ci andrò, quando ho un fine settimana libero, e poi te ne scordi ed è da 14 anni che sono in Spagna e ancora non ero mai andata ad Almeria.

Almeria è a un tiro di schioppo da Murcia, 223km e ma perché mai 4 ore di pullman. (In realtà con quello di categoria Supra sono solo 2 ore e 45!)

Ad Almeria Sergio Leone ci girava gli spaghetti western, perché là ci sono ancora più cactus e sabbiadeldeserto che a Murcia.

Ci sta addirittura un parco del Far West, ma io non ci vado perché ci fanno gli spettacoli coi cavalli, e molto vegano non è.

Ad Almeria ci concediamo un Gran hotel 4 stelle ...


... sì, certo, 4 stelle di mare! Popolato da Miss Culetto in bikini fluorescenti con fotografo al seguito che le immortala a bordo micropiscina, decorazione barocca, e la nostra è l'unica stanza senza balcone e con vista laterale sul porto ...



Ma abbiamo due poltroncine e un comodissimo tavolinetto che trasformiamo in sala da pranzo, attrezzati con posate Ikea e carta igenica a mo' di tovaglioli, e un sacco di prodotti vegani trovati al supermercato, in beffa alla regola niente cibo in camera. 


A Almeria ci arrivo con un occhio dolorante - troppo computer, troppi esami da correggere e una settimana quasi di notti semi-insonni per mal di schiena, mal di sterno, ma di stomaco che penso di avere l'ernia iatale, e temo di essermela provocata facendo troppe flessioni e magnando come un porco.

Invece scopro che probabilmente è solo il mio letto durocomeunsercio di Murcia, perché ad Almeria ci danno la stanza in anticipo e mi abbiocco un paio d'ore prima di pranzo e non mi fa più male niente.
E allora tutta gasata decido che è ora di andarmi a fare un bagno di vitamina D, lungomare e poi spiaggia e ...


... una bella insolazione dopo nemmeno MEZZORA non me la toglie nessuno!

Sarà forse che l'ultima volta che ero andata al mare d'estate senza ombrellone era stato 7 anni fa? E che prendo il sole solo andando da casa al lavoro?

Torno in hotel e crollo, bianca più di prima, e in mancanza di ghiaccio bisogna sopperire con bottiglie di birra, che qualcuno se le sarebbe volute bere belle fresche e invece servono a raffreddare la mia capoccia in fiamme.

Ma vabbè, riesco a dormire e recupero 12 ore di sonno, e mi rendo conto che il mio corpo è sempre più meccanico, surriscaldo il motore e addio core, tocca spegnere tutto e poi si vedrà.

La mattina dopo infatti sono sveglia alle 7, c'è l'Alcazaba che ci aspetta, l'ho vista la notte prima durante uno dei momenti di lucidità nel delirio febbricitante, in cui sapevo, CAPIVO, di essere stata un elefante nella mia vita passata, e che per abbassare la febbre dovevo mettermi una bottiglia di birrra fredda su ogni orecchio.


Tutti quelli a cui avevo detto che andavo ad Almeria avevano commentato che non c'è niente da vedere, è bruttarella, Almeria??

Io penso meriti la pena di fermarcisi almeno un giorno, soprattutto se non fa troppo caldo, e salire su per la collina, ed eccola, sorniona e gratuita, la sorellina minore dell'Alhambra.

Giardini, acqua, fiori, tantissimi alberi, uccellini che nidificano negli spazi fra le pietre, silenzio.
Ci sono pochi, pochissimi turisti. 
Niente schiamazzi, niente comitive.
Solo noi, a immaginare come doveva essere bella la vita in questo luogo, senza Grandifratelli e Veline, senza cellulari e ipad, solo con storie raccontate sotto le stelle, infiniti bicchieri di tè zuccheratissimo, natura ascoltata e rispettata.





Poi la muraglia corre giù per la collina ...


... e un'altra collina, el cerro de San Cristobal, ci aspetta di pomeriggio. 

Lì troviamo una statua di Cristo, el Sagrado Corazón de Jesus, di cui quasi non ci sono informazioni su internet.
Sarà perché per arrivarci bisogna attraversare un quartiere gitano?
La mia canotta, calzoncini, ciabatta di plastica del supermercato e mollettone in testa, più i tatuaggi sulle braccia-spalle mi confondono benissimo fra la popolazione locale, ed eccomi lassù.





C'è un ragazzo solitario che medita guardando il mare.
Una coppietta arrivata in macchina, che scappa subito via da queste rovine piene di cocci di bottiglia.
Un signore panzuto con un cane altrettanto panzuto, che scopre la pancia per rinfrescarsi.
Due ragazzini che giocano a saltare dai muretti.

Ognuno con la sua storia.
Ognuno a guardare il mare con occhi diversi.

Io lo guardo e penso che devo portarmi cappello e occhiali da sole, la prossima volta che ci torno.

Il viaggio si conclude troppo presto.
Penso di aver comprato il biglietto di ritorno per il pomeriggio e invece mi rendo conto all'improvviso che si torna a Murcia a mezzogiorno. Giusto il tempo di buttare tutto in valigia e riportarmi la mia bella insolazione a casa.