30.12.13

Cosa mangia un vegano a Natale?

Da un po' di Natali a questa parte, mentre tutti ingrassavano e trangugiavano cocacola per digerire, io magicamente dimagrivo.
Qual era il mio segreto?

Essere vegetariana a una tavola onnivora.

Così mi mangiavo una mozzarellina all'inizio, e due funghetti e un carciofino, gli antipasti li saltavo quasi a piè pari, nonostante fossero vegetarian-friendly.
Niente primi, inclusa la lasagna senza carne, perché non è che io vada matta per la pasta.
Poi quando arrivava il momento dei secondi pregavo in silenzio per le anime dell'arrosto e dell'abbacchio.
I contorni, quando tutti già boccheggiavano e cominciavano a sudare freddo e ad abbioccarsi, mi vedevano impadronirmi delle insalate e brucare come una capretta e a maledire i semini di melograno che mi si conficcavano nelle gengive.


Erbivoro-Natale di qualche anno fa.

Poi però una fetta di panettone o pandoro ci scappava, e magari anche un po' di torrone.
Nonostante tutto, mentre gli altri sbottonavano la cinta, per me niente magnate, e insomma, mi ero abituata.

L'anno scorso poi, quando sono diventata vegana, mia madre arrabbiatissima (o forse preoccupatissima per la mia inculumità) non mi ha preparato niente che io potessi mangiare, niente.

Mi sono ritrovata a farmi un piatto di verdure scondito e a sentirmi incredibilmente leggera. Niente panettone, niente pandoro, centellinavo la cioccolata vegana ricevuta in regalo, un quadruccio al giorno e credevo sarebbe stata per sempre così.
Non ci capivo niente fra seitan, tofu, mopur, formaggi ed insaccati vegan e compagnia bella.
Anzi diciamo che ero proprio all'oscuro dell'esistenza di alcune cose.

A Natale 2012 ero l'unica persona in tutto il circondario che di mattina faceva le flessioni.



Natale dietetico 2012

Ma in un anno le mie vegaconoscienze si sono moltiplicate.
Stavolta ho viaggiato con la valigia carica carica di cibarie.
E arrivata a Roma ho trascinato mia madre da Natura Sì, aperto nel mio quartiere (Garbatella) proprio pochi mesi fa.

Lei come al solito aveva preparato il men, scopiazzando e cambiando quello dello scorso anno.
Io ho approfittato del caos natalizio per correggere di qua, tagliare di là, sostituire di su e ridurre di giù. L'ho seguita al supermercato normale, togliendo mozzarelle e mayonesi dal carrello, e giocando sul questo l'ho portato io, mica se ne accorge nessuno, vedrai che quest'anno non ti viene una colica.

E così è stato.
Niente coliche, niente avanzi da buttate, niente che sia andato a male, nessuna sensazione di scoppiare/esplodere/sbombardare, nessun abbacchio sacrificato.

Il nostro menù, quasi al 100% vegano (l'anno prossimo mi informo prima sulle sfoglie per la lasagna senza uovo e la carne macinata veg la porto io, che a Murcia c'è, e poi cerco altri antipasti che ci aiutino ad eliminare la fetta di prosciutto crudo e la mini mozzarella, e poi porto o rimedio il tonno vegano, che esiste cari lettori, esiste), buonissimo e leggero, è rappresentato - in parte - da queste foto.


E mentre tutti gli altri anni osservavo gli altri mangiare e ammiravo la mia pancia piatta allo specchio, quest'anno ho scofanato anche io, ho provato tutto TRANNE l'insalata.

Ecco, questo per dire che un Natale tradizionale è possibile anche con ingredienti alternativi, che ormai c'è proprio di tutto, che magari questi prodotti costano un po' di più, ma sono tutti di ottima qualità, sono comunque per un'occasione speciale e dopo un paio d'ore tutto digerito, panzona scomparsa e BUON NATALE.

Ah, poi oltre a non far ingrassare, il cibo vegano a quanto pare fa crescere. Da quando sono arrivata 3 persone diverse mi hanno detto che sono cresciuta. Sarà che ho solo 12 anni e mezzo, come dice/pensa la mia nipotina Eleonora, e quindi sono in piena fase di crescita.


24.12.13

Una carrellata di oscenità

Sono a Roma, a casa dei miei, e nella mia vecchia camera cercavo cose da scambiare, perché ormai la mia vita come sapete si basa sul baratto, oggetti che non uso più in cambio di frutta e verdura o cose varie per la casa.

Forse succede a tutti gli expat, la loro cameretta rimane intonsa e a un certo punto, mettendo a posto a PasquaNataled'estatedipassaggio ci si ritrova con una serie spaventosa di oggetti oscenità, alcune ricevute in regalo, altre volontariamente comprate, altre raccattate qua e là per il mondo.

Se eruttasse un vulcano, stile Pompei, i posteri sotto le macerie della mia della mia stanza di adolescente troverebbero:

1) lo spermatozoo-alcolico, pratico contenitore di shot di alcool a piacere (originariamente Baileys) ricevuto in dono dalla mia amica Ceci, simbolo di notti all'insegna della follia. C'è da dire che il Baileys l'ho svuotato nel lavandino l'anno scorso, stagionato di 20 anni.


2) La canottiera con reggiseno con il ferretto incorporato, regalo di mamma negli anni '90. Mia madre all'epoca mi regalava pure i wonderbra, e io che ero una gran sisona, dovevo levare tutte le imbottiture, e non mi guardava più nessun maschio in faccia, dato che a quei tempi andavo in giro parecchio scollacciata.


3) Mutanda a vita alta. Semi contenitiva. Da abbinare a jeans a vita alta. Coscia lunga, tronco corto. Insomma, ero un mostro deforme.


4) Accozzaglia di libri, senza nessun ordine né coerenza. Io-leggevo-Paulo-Coelho. Ecco, l'ho detto. Ora 5 minuti di vergogna all'angoletto. Fra gli altri anche un'abbondanza di Susanna Tamaro, Isabel Allende e vari libri di autoaiuto che mia madre mi regalava, non so perché.


5) Collezioni tematiche: vanno per la maggiore quella delle cose gattose e quella delle cose paperose. Vasi, tazze, piatti, soprammobili, ninnoli, quaderni, libri. Io ho smesso di collezionare tanti anni fa, ma continuo a ricevere new entry che hanno invaso ogni angolo delle librerie. Miao miao, qua qua.


6) Gli occhiali che portavo alle medie. O-S-C-E-N-I. Poi uno si chiede perché non mi si filava nessuno. Menomale che poi è arrivato il wonderbra, così almeno non mi dovevano più guardare in faccia.


7) Spray al peperoncino, illegalissimo, che mia madre mi aveva infilato furtiva nel bagaglio a mano quando mi ero trasferita in Scozia nel 2002. A quei tempi nel bagaglio a mano ci si poteva ancora ficcare di tutto, acqua, creme, shampoo, coltelli, bombe farcite, bombe a mano.
Mai usato fortunatamente. Mamma ha detto che se non lo uso se lo mette lei in borsetta. Poi finisce che un giorno se lo spruzza come lacca.


8) Gadget regalo ottenuti grazie alla mia ventennale fedeltà a Topolino. Anche a quei tempi sapevo già che una bella bussola incorporata nell'orologio avrebbe fatto al caso mio, nella mia vita da expat.
Poi ora che ci penso è da un po' che non porto l'orologio, mi si è rotto, che dite, rispolvero questo modello?

9) Altro che cellulari, microfoni, internet. Ai miei tempi si scopiazzava dai fogliettini, dal compagno di mango, o dai manabili! Io questo me lo ero comprato per gli esami di maturità scientifica, non l'ho usato, perché ero una secchiona e non copiavo, ce lo avevo per tranquillità mentale.
Poi mi scrivevo pure le parole chiave sul bordo delle scarpe e sulle gambe, i vantaggi di non avere peli.


10) Io ero una brava bimba che non fumava, beveva o diceva parolacce.
Però i fine settimana bazzicavo per i centri sociali e rave, indossando questo capo trionfo del trash, che mi faceva passare inosservata. Ogni tanto, mentre ballavo, veniva qualcuno a chiedermi se avevo un bambi arcobaleno, o un unicorno viola, o un blue dream, o un red angel, e io ignorante non capivo che mi scambiavano puntualmente per una spacciatrice, e rispondevo che da piccola non mi avevano mai comprato neppure il mio mini pony.
Ecco, questo fantastico giubotto è in vendita o accetto in cambio un paio di camicie da notte felpatone, che non ho più l'età.
A scavare nei vostri armadi, voi che ci trovereste?

19.12.13

Faccio outing

È arrivato il momento di raccontarlo.

A luglio così inaspettatamente è sbocciato questo amore.

Io volevo P., pensavo a P., ci speravo.
Diverso da ciò che avevo sempre amato, mi portava fuori, all'aria aperta, e io avevo riscoperto il mio amore per le cose semplici e genuine.
Non sapevo vivere senza P., ci incontravamo furtivi a pranzo e a cena.

Ad agosto il timore che non ce l'avremmo fatta, per la distanza, perché io per un mese non ci sarei stata, perché le relazioni come questa hanno bisogno di attenzioni giornaliere, soprattutto all'inizio, quando è tutto luminoso, in fiore, ma allo stesso tempo fragile.

A settembre poi la sorpresa.

Non era P. che volevo, era Z.
C'era sempre stata.
Lei era lì.
Mi aveva aspettata tutta l'estate.

Ho piantato P. e mi sono ritrovata con Z nella mia vita.

Di cui non sapevo nulla, di cui un giorno mi dicevano una cosa e il giorno dopo un'altra.
Lei, con i suoi fiori gialli, lei che cambiava con me.
Lei che a volte non la capivo, pareva volesse fuggire dalla finestra, scappare, crescere per conto suo, e io non sapevo che fare.
Lasciarla libera di arrampicarsi su questo spinoso-mondo-cactus e magari cadere?
Tarparle le ali, costringerla a restare con me?

Alla fine ho capito che ciò che voleva era solo un po' di tempo, e attenzioni.
Il mio, le mie.

Ho capito che le piaceva essere coccolata presto presto di mattina, che le piaceva prendere il sole pigra mentre io armeggiavo sul balcone.

Però dentro di me sapevo che questa passione sarebbe finita prima o poi, questo amore caldo e inaspettato non sarebbe sopravvissuto all'inverno.

Già per Halloween avevo pensato che era finita, ma avevo fatto finta di niente.
Mi chiedevano: ma allora che farai con Z.? Non avevi detto che era ora ... ?
Ma non eravamo pronte, lei non era abbastanza matura, dovevo aspettare.
E Z. era rimasta, la decisione non l'avrebbe presa lei, lo sapevo.

E invece no, alla fine il destino ha voluto diversamente.
Z. viene a Roma con me, a conoscere i miei genitori.

.
..
...
....
.....

Z. è la zucca che cresceva da luglio sul mio balcone, quando pensavo di aver piantato il P-eperone. E oggi l'ho amorevolmente raccolta, lavata e me la porterò a Roma, perché è il mio primo amore verde, beh, arancione, è insomma, mamma, pensa a una ricettina.





17.12.13

10 o 100000?

Raccogliendo l'invito di Valentina wonderwoman, che ieri ha scritto un post (questo) con le confessioni di una expat, ecco a voi anche il mio top ten dei miei terribili insulti all'italianità e all'umanità tutta comportamenti bohemienne da quando sono all'estero.

Ormai non vivo in Italia da secoli, e ripenso a Zia Fiorella che quando tornava in Italia dopo tanti anni in Canada non diceva più sugo al pomodoro, ma salsa di tomato, e a zia Fernanda, che dopo aver vissuto tanti anni in America parlava di basement stores, di scrap books e di altre cose che nessun altro capiva, finché negli Stati Uniti non ho cominciato a andarci (e poi viverci) io.

Dunque confesso, per mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa che:

1) Quando vivevo in Scozia mangiavo Spaghetti Hoops o Loops, che all'epoca costavano 8p (tipo 10 centesimi) e ora (li ho rivisti quando sono andata a Glasgow ne costano tipo 20) e ci ho fatto un pensierino. Riru, tu te li sei mai mangiati on a toastie?



2) Dato che vivo nel deserto spagnolo, il riscaldamento a casa non ce l'ho. Qua fa freddo solo un mesetto all'anno e allora mentre in inverno la mia mise è quella che avete già visto altrove e che ripropongo ...


3) ... in primavera mi capita di scordarmi di guardami i piedi prima di uscire e di andare in giro (e a lezione) così.


4) Soprattutto quando vivevo negli USA, in un'Università dove ero l'unica vera italiana, fingevo di aver comprato tutto il mio strepitoso guardaroba in qualche ganzissimo e costosissimo negozio italiano, quando invece erano cose comprate al mercato in Spagna,  a Portaportese a Roma e da Walmart, a due passi dal Campus. Eppure tutti mi dicevano che eleganza, che sexy, si vede che sei italiana. La rinomata giaccobesa risale a quei tempi.


5) anche io ho ceduto al fantomatico ananas sulla pizza e alle pizze surgelate. In Italia non le avevo mai mangiate, anzi secondo me neppure esistevano quando ancora vivevo nel bel Paese. Mi ricordo infatti esattamente il giorno (dicembre 2000) in cui ho comprato la mia prima pizza surgelata in Spagna e mi sono resa conto che non era così male. Ora fortunatamente la pizza surgelata non la mangio più, perché sono vegana, ma in realtà giusto l'altro giorno ne ho adocchiata una al negozio vegano, con dei bei pezzi di ananas sopra. Gnam gnam.

(Per me senza prosciutto, né formaggio, por favor)

6) Inventarsi storie romantico rocambolesche folcloristiche sull'origine dei cibi italiani è diventata per me un'arte. Quando a Granada lavoravo in un ristorante italiano, il dolce più caro che avevamo era il tiramisù e io per venderlo dicevo agli aitanti maschioni spagnoli che era il dolce che mangiavano i calciatori italiani e addirittura Rocco Siffredi (che in Spagna è parecchio famoso).

 7) Ho cominciato a spacciare per ricetta tipica qualsiasi piatto di pasta io prepari. Da un'italiana tutti si aspettano due cose: che sia tettona come Monica Bellucci e che sappia cucinare.
E così la pasta con le verdure a casaccio l'ho battezzata 'pasta qualsiasi' o in spagnolo 'pasta cualquiera' e quando qualcuno la vuole, me lo chiede così, me preparas una pasta cualquiera? Contemporaneamente mi sono però abituata a vedere la pasta galleggiare nelle pentole di casa altrui per 15-20 minuti e non battere ciglio di fronte a piatti di spaghetti collosi coperti di ketchup, o peggio, di tonno, formaggio scadente e uovo sodo a pezzetti e una spruzzatina di origano.

8) Ho cominciato a girare i supermercati di tutto il mondo - sì, sì, pure quando sono in vacanza - , e con occhio critico scrutare gli scaffali vicino agli assorbenti alla ricerca di sapone intimo. Che poi io all'estero non l'ho mai comprato, me lo sono sempre portato dall'Italia. E a parlare di bidet con altri italiani expat, come gli inglesi parlano del tempo.

9) Quando insegnavo italiano, io che in generale non ascolto musica e men che mai musica italiana, ai miei poveri studenti facevo ascoltare (in chiave didattica, sia detto) com'è bello far l'amore da Trieste in giù, Marco se n'è andato e non ritorna più e, tragedia delle tragedie, Anna viviamo di Marco Masini. Non contenta mentre ascoltavamo le canticchiavo pure.

10) Dulcis in fondo, da quando sono all'estero scrivo, e da due anni bloggo, e allora tutti i giorni, zitta zitta, butto un occhio alle stats del blog e vedo che proprio oggi e proprio questo post mi porterà alle 100000 visite e mi chiedo, ma chi sarà questa gente che legge tutte le baggianate che scrivo?

8.12.13

gLASVEGAnS

Non mi ricordo perché mi sono iscritta a un gruppo facebook di vegani in Scozia.

Forse perché l'idea che frulla in una parte del mio cervellino è comunque di tornare qui a Glasgow prima o poi, forse perché volevo chiedere consigli su prodotti da comprare quando vengo in trasferta, fatto sta che appartengo a questo gruppo i cui partecipanti sono in maggioranza belli(e) in carne, perché in Scozia le schifezze per vegani abbondano e questi non fanno altro che parlare di torte e cioccolate e dolci e patate fritte e riuniamoci per scofanare.
Che poi io lo faccio anche a Murcia, ma non a questi livelli.

In ogni caso, lo scorso anno quando era venuta in toccata e fuga c'era un vegan meeting proprio il giorno che ripartivo, e quest'anno pure e me lo perderò. Però quest'anno c'è stato tempo per un incontro vegano e per scoprire un ristorante che mi ha fatto venire voglia di smettere di fare la prof. e darmi pure io al settore della ristorazione.

Il facebook-vegan-incontro è stato con Carlo, che ho conosciuto proprio sul gruppo facebook. Non mi ricordo come o quando, ma essendo tutti e due nati in Italia e finiti in Scozia - lui ci vive ancora -, abbiamo fatto tipo comunella, e poi siamo diventati facebook amici, e dopo tanti like alle reciproche foto, chiacchiere e scambi di info, era insomma ora che ci si conoscesse.

Ecco, c'è tanta gente che critica facebook e io penso che non sappiano usarlo, perché con un po' di buon senso e un po' d'occhio si possono conoscere persone interessanti, che poi quando le vedi in carne e ossa si salta la fase dei convenevoli e si passa direttamente a ma tu come sei finito qui, tu come sei diventata vegana, ordiniamo altre chips?

Insomma, mi rincuora pensare che se tornerò da queste parti ci sarà qualcuno che condivide il mio amore per la frutta, e che però a volte si concede una mangiata, e che ama e odia la Scozia come io amo e odio la Spagna, perché delle volte la voglia di viaggiare e di essere altrove ci fa odiare la quotidianità che ci trattiene.

Con Carlo siamo stati a cena (e poi io ci sono pure tornata a pranzo oggi) in questo posto qua, http://www.the78cafebar.com/, che da fuori - e pure da dentro a dire la verità- chi lo direbbe mai che è un ristorante vegano.

E invece sì, il menù è 100% vegano e l'atmosfera è accogliente, con il caminetto che scoppietta, i divani blu, il pavimento di legno annerito da centinaia di scarpe bagnate, le sedie di legno tutte diverse, i cani benvenuti, le famiglie coi bimbi e anche dei barbutissimi settantenni, i bagni con le scritte dietro le porte, i finestroni rigati di pioggia, le luci basse, e un menù che fa immaginare un mondo migliore, in cui tutti, chi lo direbbe mai, potranno diventare vegani e godersi la pace di questo posto e i suoi burger e torte al cioccolato (e un sacco di altre cose, che mi toccherà per forza tornate per provarle tutte).








L'Arancia meccanica

Glasgow la conosco come le mie tasche.

Perché quando ci vivevo la sterlina valeva 3000 lire e allora io per risparmiare andavo sempre a piedi, alla ricerca di offerte 'reduced to clear' dei supermercati, che a una certa ora i vari SainsburyTescoAsda vogliono sbolognare pane, dolci, panini, insalate e bustine di mini chicchi d'uva o mele nane affettate e allora ci appiccicano un adesivo giallo e un prezzo ridicolamente basso ed è la gara fra studenti poveracci e non solo, a vedere chi arrafferà la zuppa di carota e coriandolo (mi giro due secondi ed è scomparsa) o il panino uovo ed erbette (ne andavo ghiotta, ma ora non sono 'suitable for vegans).

A Glasgow ci torno, anche se - e proprio perché - la conosco come le mie tasche, quando ho bisogno di riposo, di non fare la turista, di gironzolare senza perdermi, di freddo in inverno - perché a Murcia in classe mi tocca accendere ancora l'aria condizionata in classe - e perché è la casa del mio cuore.

Ci torno dopo settimane in cui la mia vita è casa lezione casa e zero blog e ho bisogno di ricordare che c'è altro oltre alla me-prof terrore fonetico degli alunni spagnoli, che pronunciano hustle e asshole allo stesso modo.

A Glasgow - e in Scozia in generale - 2 giorni fa il vento si portava via la gente e addirittura i camion, ma ieri quando il mio aereo è atterrato senza neppure i soliti Ryanbalzelli c'erano le nuvole, ma neppure la pioggia e la mia giaccobesa l'avrei potuta pure portare senza ripieno.

E dato che Glasgow la conosco, da brava non turista corro subito al supermercato a fare incetta di flapjacks che in Spagna non li posso più ordinare e me li sogno di notte e di giorno e mi godo le luci natalizie e frasi rubate di accento tutte rrrrrr.

Poi è sera di vegan-incontri (che però meritano un post a parte) e per una volta faccio un'eccezione alla regola di 'a piedi sempre e comunque' che conoscono bene quelli che mi sono trascinata dietro in questa città, facendoli scarpinare con la scusa di è vicino, alla fine di questa (interminabile) strada (che tu non lo sai ma continua dritta fino a quando Glasgow non è più città, ma zona di guerra e coltelli).

E quest'eccezione la faccio perché sono curiosa di prendere la metro, che a Glasgow è una sola linea, circolare, e la avranno fatta magari per gli ubriaconi, che dove la prendi la prendi non ti sbagli, e prima o poi arriverai comunque alla tua fermata.

E io pure mi sono bevuta una pinta e allora penso sia quello che me lo fa sembrare così piccolo 'sto trenino, ma no, è proprio così, se sei alto non c'entri, e se soffri di claustrofobia evitala.

Perché l'Arancia Meccanica, come la chiamano http://en.wikipedia.org/wiki/Glasgow_Subway , pare piuttosto un salottino/sala di attesa di un medico di famiglia in un paesino, si sta tutti seduti vicini vicini sulle panche vellutate, e gli ubriaconi del dopocena superano la proverbiale timidezza e diventano amici per la pelle in 3 fermate.

E c'è pure quella che trova sul suo sedile una confezione di un test di gravidanza, decide di annunciare scherzosamente che è incinta, e giù gente a farle foto e a mandarle baci.

Perché i Glaswegian sono così, sono i mediterranei del nord, e si vede che fremono per parlare, darti un consiglio, farsi una risata, dirti cheers, all right mate, nye bother. E io mi innamoro di tutti, dei panzoni, degli spilungoni, di quelli in maniche corte a 3 gradi, di quelli coi tatuaggioni e il collo che nemmanco Conan il barbaro, e come sempre mi scordo che di solito vivo altrove e che un altrove esiste.